Quale progettazione?
In questo senso il tema dell’accessibilità non può e non deve essere limitato alla sola conformità alle norme. Il riferimento implicito nella Convenzione ONU, e nello stesso movimento dell’Universal Design non si riferisce ad una cultura dello standard minimo, ma piuttosto alle soluzioni migliori possibili.
Un importante contributo sulla necessità di soluzioni migliori per tutti attraverso una nuova cultura progettuale è riportato significativamente nelle Linee guida per il superamento delle barriere architettoniche nei luoghi di interesse culturale:
“Progettare l’accessibilità vuol dire considerare non solo gli aspetti estetici e formali, ma porre al centro dell’attenzione l’essere umano e le sue peculiarità ed esigenze: il suo essere uomo o donna che evolve da bambino ad anziano e che nel corso della vita può andare incontro a cambiamenti temporanei o permanenti e presentare caratteristiche differenti da quella “normalità” definita arbitrariamente da convenzioni che si dimostrano spesso inadeguate.”
Il tema dell’accessibilità non può trovare una soluzione adeguata se ci si limita, come fino ad oggi è accaduto, al rispetto del livello minimo normativo contenuto all’interno del D.M. n. 236 del 1989, che definisce i tre livelli decrescenti di accessibilità, visitabilità e adattabilità. La norma definisce le barriere architettoniche come ostacoli fisici che sono la fonte di disagio per la mobilità di chiunque ed in particolare di coloro che, per qualsiasi causa, hanno una capacità motoria ridotta o impedita in forma permanente o temporanea; o gli ostacoli che limitano o impediscono a chiunque la comoda e sicura utilizzazione di parti, attrezzature o componenti.
È indiscutibile che tali norme abbiano contribuito a porre al centro dell’attenzione dei progettisti anche le esigenze degli utenti con disabilità, evidenziando come gli standard dimensionali utilizzati non rispettassero tali richieste.
D’altro canto appare evidente che alcune prescrizioni normative, trasferite nei manuali di progettazione, abbiano contribuito a diffondere nel pensiero comune il concetto di disabilità intesa come una limitazione o una menomazione di cui è portatore un gruppo minoritario di persone, per le quali è necessaria una progettazione particolareggiata. Un approccio del genere ha comportato una catalogazione delle disabilità, ma essendo queste difficilmente circoscrivibili, ci si è limitati a fornire ulteriori standard dimensionali, privilegiando fra tutti i disabili motori. Per le altre disabilità, come ad esempio quelle percettive, finora si sono fornite solo affermazioni di principio e indicazioni generiche, trascurando le prescrizioni tecnico dimensionali.
Il problema dunque non è definire nuovi standard. Il problema dell’accessibilità reale va affrontato attraverso un tipo di progettazione inclusiva, per tutti, nella convinzione che questo porta non solo al soddisfacimento di diritti primari delle persone, ma ad una qualità degli ambienti e degli spazi più alta per tutti: senza un’attenta valutazione dell’accessibilità, le risposte tecniche e progettuali non potranno essere efficaci.